Premi Nobel: Grazia Deledda, la straniera

Grazia Deledda

« Se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se va per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta. Senza vanità anche a me è capitato cosi ». [Grazia Deledda, 1933]

Canne al vento veniva pubblicato cento anni fa nel 1913.
È il libro più rappresentativo di una  scrittrice, l’unica donna italiana alla quale sia mai stato conferito nel  1926 il premio Nobel per la letteratura: Grazia Deledda.
Il romanzo apparve per la prima volta sulla rivista Illustrazione Italiana, rivista molto famosa fra la fine dell’Ottocento e gli anni che precedono l’arrivo della televisione italiana.
Canne al vento si svolge in un piccolo paesino della Sardegna, Galte, e in particolare nei possedimenti delle tre sorelle Pintor: Noemi, Ester e Ruth. Il vero protagonista della vicenda è pero’ il servo Efix, che nonostante le dame siano andate impoverendosi nel corso degli anni dopo la morte del padre, non le ha abbandonate perché probabilmente troppo affezionato a loro. La loro vita scorre piutosto monotona fino all’arrivo del loro nipote (il figlio della quarta sorella, Lia, fuggita di casa tanto tempo prima). L’arrivo di Giacinto a Galte darà il via alla vera e propria trama di Canne al vento, un insieme di avvenimenti che porteranno alla conclusione della vicenda. Questi avvenimenti pero’ non saranno per forza tutti gradevoli, molti di loro, infatti, non lo saranno per niente. Non aggiungo altro per coloro che avessero un giorno voglia di cimentarsi nella lettura di questo libro. Come dicevo, il vero protagonista della vicenda è Efix che incarna un po’ lo steretipo del personaggio materialmente povero ma che si caratterizza per la sua ricchezza d’animo e rappresenta in effetti, quell’ideale di predestinazione che ritroviamo in questo scritto.

Ho letto tutti i più famosi romanzi della Deledda tanti anni fa più per curiosità che per passione: ero curiosa di sapere com’era la Sardegna dell’epoca in cui viveva e scriveva Grazia Deledda.
E’ da poco l’ho ripresa in mano grazie a un libro di qualche anno fa di Sandra Petrignani « La scrittrice abita qui » (Neri Pozza Editore, 2002) dove c’è un capitolo (il primo) dedicato proprio a Grazia Deledda in cui ci sono aspetti personali della sua vita, tra cui la passione per un uomo che non la volle, passione di cui rimane un fitto carteggio diventato poi un libro « Amore lontano. Lettere al gigante biondo (1891-1909) » (206 p. a cura di Anna Folli, edito da Feltrinelli nel 2011).
Conoscere questo suo lato cosi fragile, cosi’ segreto e personale mi fece riappassionare e cominciai a rileggerla con occhi nuovi.

La scrittrice Michela Murgia ne parla cosi’:

“La Deledda fu considerata dai critici ingiustamente politicamente agnostica perché non prese posizione contro il fascismo negli anni in cui vi convisse.
Non sono d’accordo: Grazia Deledda fu l’unica scrittrice italiana che non ha avuto niente cui spartire con il fascismo. Quell’isolamento, non solitudine, ma isolamento che lei sceglie, accentua e  nel quale si arrocca propriamente fino a diventare quasi una sepolta, è una scelta fortissima che lei fa proprio per non avere niente a che spartire ma sopratutto niente da subire da chicchessia. Era una donna molto fiera.
Non sono d’accordo, inoltre, perché io trovo invece nei suoi libri degli elementi di sovversione politica prepotenti: in Canne al vento c’è un servo che ammazza il padrone e un figlio che fugge di casa e abbandona il padre, quindi, contemporaneamente in questo romanzo che sembra cosi’distante dalla nostra realtà, c’è un ordine familiare e un ordine sociale infranto in cento pagine!

Non è stata studiata bene la Deledda. Non ancora.
Questo a mio avviso, perché la critica italiana in quell’epoca era molto etnocentrica e chi non possedeva la perfezione e gli strumenti della lingua italiana veniva considerato uno cattivo scrittore.

La Deledda era una scrittrice straniera.

Divenne perfettamente bilingue solo intorno ai trent’anni e quindi forse anche per questo mi è cara: perché io oggi ho un bilinguismo pacificato, lei dovette lottare per guadagnarsi una lingua che allora era dominante che le consentisse di raccontare le storie che provenivano dal suo Mondo.
La Deledda è stata una emigrante ma non di sé stessa, ma del Mondo che si portava dietro.
E’ riuscita a gettare un ponte tra le due culture: quella italiana e quella sarda, che è un ponte sul quale camminano oggi tutti gli Scrittori sardi.
Grazia con le sorelle, con i fratelli, in famiglia parlava solo il sardo. Va a scuola: è una femmina e fa solo fino alla quarta elementare. In via eccezionale le la lasciano ripetere, cosi puo’ fare ancora un anno in più stando a scuola coi libri. Un vecchio prete le da qualche lezione di latino. Impara da sola il francese e impara, da sola, l’italiano. Capisce a tredici anni che se vuole imparare l’italiano lo deve tradurre, lo deve raggiungere traducendolo dal sardo : diversamente non lo puo’imparare mai. Il padre le regala un meraviglioso vocabolario con tante figurine. Perché le figurine? Perché per ogni parola che dal sardo viene tradotta in italiano c’è una figurina che ribadisce il significato, quindi per la memoria. Come una sordomuta, in un certo senso.

La Deledda ha molto chiaro quello che vuole fare, lo ha sempre avuto chiaro, ma era una donna che aveva anche molte contraddizioni : partiva da una condizione di incomprensione : il suo ambiente la osteggiava, non accettava che lei scrivesse e questo all’inizio l’ha amareggiata. E questa ferita rimarrà sempre aperta.
La Biblioteca comunale di Nuoro non è didicata a Grazia Deledda e questo vuol dire qualcosa. E’ dedicata a Satta (Salvatore Satta Nuoro, 9 agosto 1902 – Roma, 19 aprile 1975 è stato un giurista e scrittore) che è stato un grandissimo scrittore ma il Nobel lo vinse lei non lui”.

Grazia Deledda nasce a Nuoro nel 1871. Scrive Michela Murgia in « Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede »: «Questa città sembra capace di suscitare prevalentemente giudizi duri, in chi vi nasce. Grazia Deledda e Salvatore Satta i più determinanti nell’aver costruito un immaginario intorno alla città barbaricina non le risparmiarono nulla. […] Non hanno aiutato a migliorarne l’immagine i fatti di cronaca nera di cui è stata protagonista negli anni la sua provincia; la loro eco nazionale e internazionale, amplificata da scrtittori stranieri come Valery che avevano viaggiato per la Sardegna in quegli anni, ha gradualmente fatto percepire all’opinione pubblica questa città e i suoi dintorni come un luogo non molto ospitale, certamente poco desiderabile come meta turistica: un posto dove per andarci serve un ottimo motivo. La delusione del visitatore in questo senso ha qualcosa di comico: ci si resta quasi male a scoprire una Nuoro colta e tranquilla, a non trovarci nessuna apparente evidenza della barbarie predetta, di luoghi e di persone. […]. A dispetto dell’elevata incidenza di fatti di sangue sul suo territorio provinciale, Nuoro è stata per lungo tempo anche il fulcro culturale dell’isola, tanto da meritarsi a cavallo tra il XIX e XX secolo il titolo pomposo di « Atene sarda ».
Nuoro, la sua città l’ha aspramente criticata e osteggiata. La gloria è un sogno nobile per gli uomini, mentre è un sogno proibito e ridicolo per le donne: siamo alla fine dell’Ottocento. L’ambizione è maschile, non è femminile, quindi le donne che rappresentano il successo e la gloria si sentono dire : « il tuo sogno è osceno, tu sei cattiva, sei squilibrata… » e questo è uno dei motivi che la porteranno a Roma e che la porteranno al Nobel. Scrive in Cosima, la sua opera più autobiografica pubblicata postuma, nel 1937 : « Decise di non aspettare più nulla che arrivasse dall’esterno, dal mondo agitato degli uomini ; ma tutto da se stessa, dal mistero della sua vita interiore ».
La Deledda era una donna volitiva e molestissima.  Per far emergere la sua scrittura ha scritto a schiunque potesse anche solo lontanamente prendere in considerazione di recensirla o di scrivere due parole di apprezzamento. E proprio questa sua determinazione, questo suo credere in sé stessa l’ha portata fino al Nobel.
Era una donna dura, taciturna e di carattere. « Aveva un riso freschissimo di suora giovane », secondo l’efficace immagine del suo amico Cesare Giulio Viola. Ma rideva raramente e parlava il minimo indispensabile. Poteva starsene ore seduta in silenzio, meditando fra sé e annuendo ogni tanto come se rispondesse a un soliloquio interiore : é un altro ricordo tramandato dai figli », scrive Sandra Petrignani in  « La scrittrice abita qui ».

Anche in occasione Premio Nobel le sue parole furono semplici e stringate : « Io non so fare discorsi, mi contenterò di ringraziare l’Accademia Svedese, per l’altissimo onore che nel mio modesto nome, ha concesso all’Italia e di ripetere l’augurio che i vecchi pastori di Sardegna, rivolgevano ai loro amici e parenti: Salute!… Salute al Re di Svezia, salute al Re d’Italia, salute a voi tutti Signore e Signori ».

Grazia Deledda è la Sardegna : quando la vive, quando la racconta, perfino quando la abbandona.

Vari sono gli affreschi che ci ha lasciato nei suoi romanzi :

« Ma tutto taceva nel lucido tramonto. Anche il vento era cessato e come uno stupore trepido un silenzio di attesa era nell’ aria. La luce azzurra, soffusa del chiarore obliquo del tramonto, pioveva giù dagli alti muri del cortiletto dando ai grandi buoi immobili un riflesso di bronzo ». (da “Incendio nell’ oliveto ” – 1917).

« Imbrunì: il fuoco dell’ occidente si smorzò in luminosità violacee ; qualche stella appparve come goccia di rugiada sugli estremi rami degli alberi neri. Le montagne ed il mare, ad oriente, svanirono nel sogno cinereo della sera. Era una pace sovrana, eppure da quell’ incipiente mistero dela notte, spirava un senso vago di angoscia. L’ oscura linea del bosco pareva una nuvola e in quella immensità di paesaggio, nel silenzio,nella solitudine , i pastori , la capanna , le bestie , sembravano ancor più piccoli, punti smarriti sotto i profili di sfinge delle rocce enormi chiare all’ ultima luce ».
(da ” Il vecchio della montagna ” – 1900)

«Ecco a un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco d’ una collina simile ad un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del Castello: da una muraglia nera una finestra azzurra, vuota come l’ occhio stesso del passato , guarda il panorama malinconico roseo di sole nascente , la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti , la vena verdastra del fiume , i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli e in fondo la nuvola color malva e oro delle montagne nuoresi ».
(dal 2ndo capitolo di ” Canne al vento ” – 1913 )

Desiderò intensamente una cosa solamente durante tutta la sua vita: scrivere, e scrisse fino agli ultimi giorni della sua vita.
Nell’unica intervista che rilascio’ alla radio disse :
«Se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se va per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta. Senza vanità anche a me è capitato cosi ». (Grazia Deledda, 1933).

Fonti e Bibliografia

Grazia Deledda, Canne al vento, collana Oscar classici moderni, Arnoldo Mondadori Editore, 2001

Grazia Deledda, Il vecchio della montagna, Ilisso Edizioni, 2007

Deledda Grazia, L’incendio nell’oliveto, Ilisso Edizioni, 2005

Deledda Grazia, Cosima, collana Oscar classici moderni, Arnoldo Mondadori Editore, 1996

Grazia Deledda, Amore lontano. Lettere al gigante biondo (1891-1909), Milano, Feltrinelli, 2011 (a cura di Anna Folli)

Michela Murgia, Viaggio in Sardegna.Undici percorsi nell’isola che non si vede, Einaudi, 2008

Michela Murgia, Deledda la sovversiva  http://www.letteratura.rai.it/articoli/michela-murgia-deledda-la-sovversiva/181/default.aspx