Esistono luoghi che evocano e la Sardegna è una terra che evoca.
La Sardegna è stata una terra molto raccontata: più raccontata che visitata. Nel passato è stata visitata molte volte e da sguardi potenti culturalmente e che hanno lasciato traccia. Sergio Atzeni diceva”Passavamo sulla terra leggeri“. Sulla Sardegna son passati tutti e leggero nessuno. Noi abbiamo impronte di ogni tipo, ognuno ha lasciato la propria impronta che ci ha conformato, deformato, dato forma, con tutto quello che significa nel bene e nel male, per cui è ormai molto difficile oggi che la comunità sarda si immagini fuori da questi sguardi.
L’atto di scrivere una “guida” della Sardegna, narrare un luogo cosi narrato da penne potenti come Valery (Voyages en Corse, à l’île d’Elbe et en Sardaigne, 1834), Balzac (che sbarca nel 1838), D.H. Lawrence (Mare e Sardegna,1921) è un atto di coraggio grandissimo, Bravo Massimo Onofri! Perché è un atto politico fortissimo! E perché sopratutto, strano ma vero: i primi a descrivere e raccontare la Sardegna Non sono stati gli italiani, ma i francesi e gli inglesi. E ci hanno raccontato come hanno voluto, partendo dalle loro città evolute, ci avete trattato come indigeni, come il vostro oriente esotico sotto casa…
Il libro di Massimo Onofri, viterbese di nascita ma sardo nel cuore, permette di capire che ci sono itinerari che ci legano gli uni agli altri, perché quegli itinerari consentono a me che sto a Parigi di arrivare a Massimo, di arrivare a Paola, di arrivare a Rita e a tutti i personaggi veri citati e narrati nel libro. Ma sopratutto di arrivare ai sardi in generale. Eppoi è chiaro che serve a arrivare a chi della Sardegna conosce poco e vuole visitarla ma con uno spirito autenticamente di incontro.
Esistono dei sardi per i quali andarsene era l’unico modo di restare. Quanti migranti abbiamo fuori dalla Sardegna…che continuano a vivere nell’isola che hanno lasciato che piano piano negli anni ha cominciato a assomigliare all’isola desidarata che non è mai stata e mai sarà. E ogni volta il ritorno è uno strappo, perché non è mai la casa che ti aspetti di tornare, l’Itaca che sognavi non è quella che trovi ad aspettarti; per cui c’è una sorta di malinconia in questo andare e venire, che è “ferita”, perché la Sardegna è tutta una ferita. La sardegna ha un confine che si vede. Ci sono regioni i cui confini non si vedono, lo si possono vedere solo nella mappa geografica, hanno un confine convenzionale, deciso dagli uomini. La Sardegna no: ha un orlo strappato su tutta la sua linea e con questo confine/ferita deve fare continuamente i conti. I sardi nascono con un muscolo più allenato perché hanno il mare davanti e anche quando non lo traversano mai, convivono tutta la vita con l’idea di poterlo attraversare, come un muscolo pronto al salto, che fa di te un migrante anche quando non ti sposti. E questa è, io credo, una delle caratteristica più importante dell’accoglienza in Sardegna: quando viene qualcuno, viene accolto dentro questa ferita, dentro questo desiderio di andare e tornare continuo che non ha mai pace come una specie di pnda che va e viene sempre sulla stessa battigia. c’è una usanza in Barbagia che si chiama istranzadura. Istranzu significa in sardo sia straniero/forestiero che ospite, le due parole sono identiche, cioé la parola è la stessa per indicare i due concetti. Significa che allo straniero non si puo’ applicare la xenofobia, perché nel momento incui è straniero è contemporaneamente anche ospite, per te è obbligante applicarli un’accoglienza.
C’è molta bellezza nel nostro presente. C’è molta bellezza nella Sardegna, c’è molta bellezza un questo libro.
E’ una cultura antica quella sarda e estremamente variegata: non esiste una “cultura sarda “standard”, esiste una confederazione di regni individuali con molte culture che si incontrano e si incrociano. Questa enorme complessità spesso è sconosciuta agli stessi sardi perché la movibilità interna nell’isola è sempre stata molto poca, dovuta anche a una rete viaria parecchio fragile. A postarsi erano i pastori perché avevano necessità di trovare il cibo per il bestiame, a spostarsi erano i commercianti chr dovevano venere la loro mercanzia, la frutta sopratutto. Ma la stragrande maggioranza delle persone legate ad una economia di territorio (i contadini per es.) si spostava pochissimo. Questo fa si che spesso i sardi sono sconosciuti a se stessi e quindi molto esposti al rischio di diventare come dice lo scrittore Marcello Fois (qui va citato) “turisti di se stessi”. Questo fatto che c’è poca mobilità interna e che c’è stata per anni, la si sta superandosolo adesso, perché ci spostiamo tutti con molta più facilità, e ci permette di superare molti pregiudizi che tutti abbiamo gli uni verso gli altri e ci da sopratutto un po’ degli anticorpi per non essere appunto dei turisti di noi stessi. Ma nello stesso tempo il mondo non è stato fermo: tutto si evolve.
Massimo Onofri, Passaggio in Sardegna, Giunti Editore, 2015