A Giugno ho letto: “Nel tempo di mezzo” di Marcello Fois

Fois Nel tempo di mezzo

E’ il 1943 quando il giovane Vincenzo Chironi, circondato da una massa di profughi in disperata fuga dalla guerra e dai bombardamenti alleati, sbarca su quella remota zattera persa in mezzo al mare che è la Sardegna. Per lui l’isola è una realtà totalmente sconosciuta. Cresciuto come orfano in un collegio triestino, scopre di essere figlio di un giovane militare sardo, morto da eroe tra le trincee della Prima Guerra Mondiale, e di una giovane contadina friulana. Totalmente disabituato a considerarsi componente di una famiglia, non sa cosa aspettarsi dai suoi parenti sconosciuti.

Vincenzo Chironi è un uomo che non dovrebbe neppure esistere, per anni figlio di nessuno, torna in una terra che invece sembra esistere da sempre e li’ ricomincia a vivere, diventa se stesso.

Il suo è un viaggio di ritorno, è la storia di un’appartenenza che si vuole ritovare. Il viaggio è verso Nuoro, la città d’origine del padre che non ha mai conosciuto. Ci vuole molto tempo prima che lui sia veramente pronto e convinto di partire per riprendersi qualcosa che gli era stato tolto e lo farà quando decide che è abbastanza forte per farlo: ecco perché io scarto l’ipotesi (letta in tante recensioni) per la quale Vincenzo torni in Sardegna per recuperare le proprie origini. Lui arriva in Sardegna con un’identità ben precisa e formata: è un friulano sotto tutti i punti di vista.

Arriva in una Sardegna che non ha conosciuto la Seconda Guerra Mondiale cosi’come altri parti d’Italia (nel Nord c’era stata la guerra partigiana), Vincenzo trova invece un universo completamente diverso. In quegli anni l’isola vive altre piaghe terribili, tristemente famose, come la malaria o la lotta alle cavallette. La malaria era diffusa sostanzialmente nelle zone costiere, le tre zone malariche endemiche in Italia erano: la Bassa ferrarese, tutta la zona della Baronia (cosi’ si chiama in Sardegna l’ampia zona del golfo di Orosei) e la zona di Pula in Sardegna, tutta la parte dell’Agro Pontino romano e un pezzo del siracusano in Sicilia. Le cavallette invece furono una piaga indotta, cioé furono portate dai bastimenti che tornavano dalle guerre in Africa e colpirono tutto il sud Italia fino quasi ad arrivare al centro; in Sardegna tutto il Sud dell’isola, il Campidano e devastavano letteralmente i campi (nel 1946 devastarono interi raccolti in Calabria, in Sicilia tutta la zona di Gela, tutto il Salentino nelle Puglie). Le grandi battaglie che le popolazioni dell’epoca dovevano fronteggiare erano queste.

L’ostinazione del vivere e del sopravivere, questo Vincenzo lo impara nella sua nuova terra, e in un certo senso lo insegna, perché la sofferenza come la felicità non sono mai atti gratuiti, costano sempre qualcosa. E sopratutto vanno insegnati.

«Se vorrai diventare parte di questa terra, imparerai cosa significa strazio… È la maledizione e la benedizione delle isole: sempre andare e sempre tornare… con strazio», questo gli insegna un prete incontrato all’inizio della sua storia, e questa mi sembra essere la parola chiave del romanzo: strazio. Legarsi alle persone e ai luoghi è una benedizione, ma poi ci si separa o ci si ferisce, e questo strazio è il prezzo da pagare per quella benedizione.

Nel Tempo di mezzo

Lo “strazio” è una condizione di strappo perenne continuo che ti accompagna, è una precisa connotazione delle Isole. Lo è solo per l’isulare perché  la sua percezione  di spazio cambia: il viaggio per lui è uno “sradicamento” perenne. Ora è diverso, certo, ma non dobbiamo dimenticare che c’è stata una generazione di sardi (quelli della generazione di Vincenzo, per esempio) per i quali lo spostamento era diverso: era una necessità, non è che viaggiassero per turismo. Viaggiavano per concorsi, viaggiavano per raggiungere ospedali, viaggiavano per andare a lavorare altrove, si viaggiava nei traghetti e rimanevi 12/13 ore in quei posti, ed era una condizione stranissima perché avevi quel tempo per abbandonare quello che eri stato e lentamente diventare qualche altra cosa quando sbarcavi.

Nel tempo di mezzo porta avanti la trilogia inaugurata da Fois nel 2009 con Stirpe, ma è anche un romanzo che, da solo, costituisce un universo narrativo perfettamente indipendente.

 

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