L’isola di Scheria di Omero era la Sardegna Nuragica?

Mirar credeste d’un nemico il volto?
Non fu, non è: e non fia chi a noi s’attenti
Guerra portar: tanto agli dèi siam cari.       
Oltre che in sen dell’ondeggiante mare
Solitari viviam, viviam divisi
Da tutto l’altro della stirpe umana.
Con queste parole Nausicaa si rivolge alle sue ancelle quando ilncontrano Ulisse.
Che Ulisse nel corso delle sue peripezie fosse capitato proprio in Sardegna?
Stando alle descrizioni del poema omerico, tra le due terre ci sono molti punti in comune, primo fra tutti la collocazione di Scheria in un grande mare occidentale.

Riporto di seguito alcuni dei brani  del saggio del professor Massimo Pittau (linguista, glottologo e studioso della lingua etrusca, della lingua sarda e protosarda), “Storia dei Sardi Nuragici”:

Sardi Nuragici
“Nella descrizione dell’isola dei Feaci si incontrano molti elementi realistici, alcuni dei quali si stagliano in maniera esatta e – direi – sorprendente con la realtà culturale dei Sardi Nuragici, quale la archeologia e la storiografia moderne hanno ricostruito e delineato.
Il racconto relativo ai Feaci inizia con una importante notizia: essi in origine abitavano altrove e rispetto alla Scherìa, lontana terra circondata dal mare (Od., VI 204), risultavano nuovi arrivati (Od., VI 4-10). Ed anche i Sardi Nuragici – come ho accennato prima – in origine vivevano nella Lidia e nella loro nuova sede, la grande isola del Mediterraneo centrale, risultavano nuovi arrivati.
Ripetutamente il poeta dell’Odissea dice che i Feaci erano grandi navigatori (Od., VI 270; VII 36, 108, 328; VIII 247, ecc.); ed anche i Sardi Nuragici erano grandi navigatori, come dimostrano l’essere arrivati in Sardegna dalla lontana Lidia, l’avere a lungo mantenuto rapporti con la loro lontana madrepatria, l’avere partecipato alle numerose imprese che i «Popoli del Mare» fecero in Egitto e in tutte le terre del Mediterraneo orientale, l’essersi impadroniti delle Baleari, l’avere stabilito loro stanziamenti nella Corsica meridionale, sulle coste della futura Etruria e su quelle dell’Iberia nord-orientale, l’avere probabilmente tentato la conquista di una grande isola nell’Oceano Atlantico – forse Madera – impediti però dai Cartaginesi.

I Feaci
Nel descrivere la reggia di Alcinoo, re dei Feaci, il poeta dell’Odissea mette in grande evidenza l’abbondanza di metalli preziosi con cui essa era fatta e la ricchezza degli oggetti che vi erano contenuti (Od., VII 81-102). Ebbene l’intera civiltà nuragica è stata caratterizzata dal largo uso dei metalli, dei quali i Nuragici si sono dimostrati ottimi lavoratori; e questo in virtù del fatto che tutta l’isola era, nell’intero Mediterraneo, uno dei maggiori centri di produzione di metalli: argento, rame, piombo, zinco e ferro, tanto che – come abbiamo visto sopra – prima di chiamarsi Sardó per effetto dell’arrivo dei Sardiani della Lidia, veniva chiamata dai Greci Argyróphlebs, cioè «Vena d’Argento».
I Feaci conoscevano l’usanza dei giochi ginnici e militari (Od., VIII 120 segg.); ed anche i Sardi Nuragici avevano questa usanza, come dimostrano i bronzetti di pugili, di lottatori, di cavalieri che tirano d’arco inginocchiati sul dorso del cavallo.
I Feaci avevano una grande passione per la danza e addirittura si vantavano di essere i migliori in questa attività diversiva (Od., VIII 253); la loro danza poi prevedeva una catena di giovani di forma circolare, al cui centro si metteva il suonatore che dava il tempo per la danza (Od., VIII 262, 380). Ebbene, pure i Sardi hanno sempre dimostrato e tuttora dimostrano vivissimo interesse e gusto al loro ballo tradizionale, il quale prevede anch’esso una catena circolare di giovani, al cui centro si metteva, fino all’inizio del secolo XX, il suonatore delle antichissime launeddas o flauti multiplici, che sono di probabile origine lidia, mentre attualmente si mette il suonatore di fisarmonica.
Circa il sistema di governo dei Feaci il poeta dell’Odissea segnala che essi venivano retti da dodici re, mentre Alcinoo era il tredicesimo (Od., VIII 390-391). Ebbene, anche per i Sardi Nuragici giustamente si è parlato di un sistema di governo di forma “cantonale” e cioè “federativa” delle varie popolazioni, le quali venivano governate da altrettanti piccoli sovrani; rispetto ai quali il capo supreno – probabilmente eletto soltanto in occasioni di guerre contro popoli invasori – risultava essere solamente un primus inter pares. Non solo, ma perfino nel numero dei re che regnavano sui Feaci possiamo riscontrare una nuova notazione realistica: perché risultavano essere 13 e non, ad esempio, 12, che per tutta l’antichità e presso numerosi popoli è stato un numero canonico e sacrale, in dipendenza dal numero delle 12 lunazioni che si hanno in un anno solare. In linea di fatto, dopo uno studio accurato, io ritengo di avere di recente individuato ed elencato le seguenti 10 tribù o popolazioni nuragiche: Rubresi in Ogliastra, Galillesi nel Gerrèi, Salchitani nel Sarcidanu,Alchitani presso San Nicolo d’Arcidanu e nelle pendici del monte Arci, gli Ipsitani presso Fordongianus, i Giddilitani abitanti di Citil in Campeda, gli Uddadhaddi presso Cuglieri, gli Iliesi nella Barbagia di Ollolái, i Lesitani presso le terme di san Saturno di Benetutti,  iNurritani nella attuale Nurra oppure presso Nurri.

La Regina Arete

Regina Arete
Il poeta dell’Odissea, parlando di Arete, moglie del re Alcinoo, si dilunga nel parlare dell’alta stima e del grande prestigio che essa godeva presso il marito e presso i sudditi, tanto che veniva richiesta di pareri e perfino dirimeva le loro liti (Od., VII 65-74). D’altronde sia Nausicaa sia Atena consigliano Ulisse di rivolgersi, per la richiesta di aiuto, prima e piuttosto ad Arete che non ad Alcinoo (Od., VI 305-315; VII 53-54) e inoltre l’ultimo saluto di commiato Ulisse lo rivolge ad Arete e non ad Alcinoo (Od., XIII 59-62). E sono tutte notazioni che da una parte non corrispondono affatto alla posizione che la donna aveva nel mondo omerico e greco, dall’altra, al contrario, sembrano stagliarsi meglio nella lunga tradizione dei Sardi, quella per la quale essi hanno avuto una regina come Eleonora d’Arborea, quella per cui in epoca medioevale e fino a settant’anni fa nelle zone interne dell’isola c’era l’usanza di denominare un individuo col nome della madre e non con quello del padre\22\ ed infine nel grande prestigio che tuttora ha la donna, soprattutto la madre, nel mondo agro-pastorale. Per la figura della odisseica regina Arete si è parlato di un ricordo di un antichissimo matriarcato, e pure per la Sardegna se ne deve, almeno in una certa misura, ugualmente parlare.

L’isola di Tavolara e la “nave pietrificata dei Feaci”

tavalara e i Feaci

Ho già detto che nel lungo racconto dell’Odissea relativo ai Feaci esiste un solo elemento magico-portentoso: la pietrificazione, effettuata da Poseidone irato, della nave con cui i Feaci avevano riportato Ulisse nella sua patria Itaca e la sua trasformazione in un’isola saldata al fondo del mare. Ed ho pure anticipato che quest’unico elemento magico-portentoso del lungo racconto odisseico in effetti si caratterizza come uno degli indizi più forti della realtà storica dei Feaci e inoltre della loro identificazione con gli antichi Sardi Nuragici.
Io sono del parere che esista effettivamente lungo le coste della Sardegna un’isola che poteva essere interpretata come una nave pietrificata, e quest’isola è Tavolara.
Tavolara è un’isola dalla conformazione geologica molto caratteristica, in virtù della quale essa si impone a un qualunque navigante vi passi vicino in maniera immediata e vistosa e più che qualsiasi altra isola. Intanto è un’isola molto lunga (circa 7 chilometri) e viceversa molto stretta (poco più di 1 chilometro), inoltre è costituita da una lunga cresta montana che si eleva quasi a picco sul mare, raggiungendo la considerevole altezza di 564 metri nella Punta Cannone. Effettivamente l’isola di Tavolara poteva e può dare l’impressione e l’immagine di una grande nave che è stata pietrificata nella sua veloce corsa sul mare, assieme al suo apparato di grandi vele spiegate al vento. La sua lunga ed alta cresta di montagna si presenta infatti frastagliata e mossa, per cui l’immaginazione dello spettatore può essere spinta a intravedervi il susseguirsi e il vario muoversi di più vele. Ma che l’isola di Tavolara si presenti effettivamente in questo modo ai naviganti è dimostrato in maniera sorprendente soprattutto da una precisa ed esatta circostanza: la sua appendice nord-orientale ha il nome di «Punta su Timone», “il timone”, evidentemente, di una nave!
Questa denominazione del piccolo promontorio di Tavolara costituisce nel mio discorso una prova di straordinaria importanza, dato che dimostra chiaramente e senza ombra di dubbio che l’intera isola era dagli antichi naviganti vista come una grande nave di pietra calcarea, rispetto alla quale il suo piccolo promontorio nord-orientale costituiva appunto iltimone. Su questo argomento mi piace riportare quanto ha scritto quell’acuto e attentissimo studioso che era Dionigi Panedda: «Se, tenendo presente la configurazione orizzontale di Tavolara e del timone, si scorrono le illustrazioni che, di navi dell’antichià e del medioevo, riportano enciclopedie e pubblicazioni specializzate, non potranno non saltare agli occhi le due somiglianze che corrono tra le dette navi e la grande isola olbiese. L’una, la somiglianza tra lo strumento di direzione di quelle antiche navi – il gubernaculum dei romani – e la configurazione sia orizzontale che verticale del promontorio del Timone. L’altra, la somiglianza tra la posizione dell’antico timone direzionale, rispetto alle navi a cui veniva applicato, e la posizione del detto promontorio, rispetto all’isola di Tavolara.

Dalla quale attenta considerazione del Panedda si deve dedurre che la denominazione diPunta su Timone deve essere molto antica. E infatti c’è da considerare che per i naviganti antichi, privi come erano dei moderni strumenti di orientamento astronomico e radiogoniometrico, il riconoscere una determinata isola o un determinato promontorio, con la sua esatta denominazione derivante dalla figura che essi vi vedevano, era una questione di enorme importanza, anche una questione di vita e di morte nel caso che essi cercassero un approdo per sfuggire ad una tempesta.

Ovviamente, come ho dichiarato di ritenere che non sia mai esistito un Ulisse greco che abbia fatto tutti quei viaggi sul mare che l’Odissea gli attribuisce, a molto maggiore ragione dichiaro di non concedere proprio nulla al “portento” della pietrificazione della nave dei Feaci al loro ritorno da Itaca nella loro isola. Io semplicemente interpreto che l’isola di Tavolara apparisse come una grande nave in pietra, con le vele spiegate al vento e col suo timone a poppa sia ai Feaci e cioè ai Sardi Nuragici, sia ai naviganti greci che arrivavano in Sardegna per motivi di commercio oppure perché sbattutivi dalle tempeste. Però nei racconti di questi naviganti greci l’isola di Tavolara finì con l’essere interpretata come la nave dei Feaci che aveva riportato Ulisse nella sua patria, ma che era stata pietrificata da Posidone irato contro i Feaci….

Ed esiste un altro particolare del racconto odisseico che si adatta alla perfezione alla conformazione geologica e geografica dell’isola di Tavolara: secondo il racconto dell’Odissea la nave dei Feaci fu pietrificata da Poseidone nel suo viaggio di ritorno ed inoltre quando già tutti gli abitanti della città la vedevano (Od., XIII 155). E infatti, in primo luogo il fatto che la Punta su Timone e cioè la poppa della nave sia rivolta a nord-est, cioè verso l’Italia, spingeva a intendere che la nave, quando venne pietrificata, era sulla via di ritorno in Sardegna, in secondo luogo l’isola di Tavolara era ed è tuttora veduta da coloro che si trovino nella costa della Sardegna….
Ma c’è un altro particolare almeno curioso: nella costa orientale di Tavolara esiste un ampio arco di calcare, ben visibile da tutti i naviganti che si avvicinano all’isola: lo si è chiamato l’”arco di Ulisse”. Ma ad iniziare da quando?
L’aver identificato la mitica nave pietrificata dei Feaci dell’epopea odisseica con la odierna e reale isola di Tavolara ci consente di procedere a un’altra importante identificazione: la capitale dei Feaci, la città del re Alcinoo, della regina Arete e della principessa Nausicaa, era la città che in seguito, per effetto di uno stanziamento greco molto più tardo, finì col chiamarsi Olbia….

La città di Alcinoo
Io respingo con decisione la tesi sostenuta di recente da un archeologo secondo cui Olbia sarebbe stata fondata dai Cartaginesi nel 350 a.C., e sostengo invece che non si possa dubitare per nulla del fatto che il sito di Olbia fosse stato occupato in epoca molto più antica già dai Sardi Nuragici. Lo dimostra all’evidenza innanzi tutto il fatto che tutto il retroterra olbiense è risultato ricco di monumenti e reperti nuragici – si pensi al pozzo sacro di sa Testa ed inoltre al santuario fortificato di Cabu Abbas, in secondo luogo la circostanza che ai Nuragici non poteva sfuggire l’importanza enorme della baia di Olbia come insenatura difesa dai venti e quindi adattissima alla pesca, all’estrazione del sale ed alla navigazione.

Ebbene, anche la descrizione che l’Odissea fa della città di Alcinoo si adatta abbastanza bene alla situazione geografica di Olbia. Il poeta dell’Odissea dice che la città dei Feaci aveva “dall’una e dall’altra parte un bel porto, con una stretta entrata» (Od., VI, 263-264); il che fa intendere che essa era come su un piccola penisola che si infilava nel mare. Orbene questa situazione corrisponde esattamente a quella di Olbia, la quale, prima che venisse creato il lungo molo artificiale che la unisce all’Isola Bianca per consentire l’approdo delle moderne motonavi, aveva un lungo porto a forma di ferro di cavallo, che andava dall’attuale Póltu Romanu, a nord, fino all’altro nella sua riva volta a sud-est, Póltu ‘Étzu\28\. La «stretta entrata» del porto potrebbe essere quella del Póltu Romanu, ora scavalcata da un ponte. Inoltre il poeta dell’Odissea ci dice che la città aveva la «agorácostruita di pietre trasportate e conficcate nel terreno» (Od., VI 266-267): e anche questa è una notazione che si adatta perfettamente con le usanze costruttive dei centri abitati della Sardegna settentrionale, nei quali le piazze lastricate con granito sono una caratteristica inconfondibile.

Ma nel racconto fantastico fatto dall’Odissea dell’ira di Poseidone contro i Feaci c’è un’altro particolare che probabilmente trova anch’esso una esatta conferma nella conformazione della insenatura di Olbia: racconta l’Odissea che Poseidone ottenne da Zeus non solamente il permesso di pietrificare la nave dei Feaci, ma anche quello di nascondere la loro città con un grande monte (Od., VIII 569, XIII 152, 158, 177, 183). E’probabile che in questo particolare del racconto ci sia un riferimento a quel promontorio costituito dal Monte Maladrommì, il quale effettivamente chiude in parte la vista di Tavolara agli Olbiesi e inoltre sembra chiudere la insenatura di Olbia. Oppure nel citato particolare odisseico può darsi che ci sia un riferimento alla circostanza che l’imboccatura della baia di Olbia ha sempre conosciuto il pericolo di essere interrata dai detriti del fiume Padrogianu; tanto è vero che, per consentire il passaggio delle moderne motonavi, l’imboccatura è stata spesso sottoposta a dragaggio. E pure la circostanza per cui, mentre Poseidone ottiene da Zeus il permesso di «nascondere la città dei Feaci con un monte», alla fine sembra che egli abbia accolto la preghiera dei Feaci stessi di non portare a compimento la sua grave decisione (Od., XIII 182-183): non potrebbe darsi che i naviganti greci che conoscevano effettivamente, per averla praticata, l’antica capitale dei Feaci, si fossero accorti che il pericolo dell’interramento della imboccatura della baia di Olbia in certi periodi, a seconda del movimento delle onde e delle correnti marine, era particolarmente grave, mentre in altri periodi lo era molto di meno?

Infine il poeta dell’Odissea, quando si dilunga nel presentare le meraviglie dell’orto-giardino di Alcinoo, lascia intendere che l’intera zona fosse particolarmente adatta alla agricoltura: di certo questo particolare non sembrerebbe corrispondere alle attuali condizioni dell’agro dell’odierna Olbia, ma potrebbe adattarsi alle condizioni dei tempi antichi, quando il retroterra di Olbia sicuramente sarà stato molto più fertile di adesso, per il fatto che le acque che vi confluivano saranno state molto più abbondanti e più regolari di adesso in virtù del molto più vasto e più denso manto boschivo dei monti circostanti.

Un’ultima considerazione e un’ultima domanda che mi propongo io stesso: se fosse vero che effettivamente l’isola dei Feaci non era altro che la Sardegna dell’età nuragica, per quale motivo il poeta dell’Odissea parla dell’isola dei Feaci per l’appunto e non affatto dell’isola dei Sardi? La facile risposta si potrebbe trovare in una circostanza che ho indicato in precedenza: nella Sardegna nuragica non è mai esistito un potere centrale e una capitale dell’isola intera. La Sardegna nuragica era fondata e governata secondo un sistema cantonale o federativo di più tribù o polazioni. Ebbene i Feaci saranno stati i Sardi che vivevano nella zona che fa capo ad Olbia e alla sua baia. I Feaci e il loro re Alcinoo avranno avuto una notevole importanza nella Sardegna settentrionale, sia perché Olbia, o – meglio – il centro abitato nuragico che esisteva nell’attuale Olbia, era aperto ai contatti marittimi col mondo italico e con quello greco, sia perché avrà costituito un’importante base di appoggio per tutti i naviganti, sardi e non sardi, che tentavano di attraversare l’importantissima e pericolosa via di mare che erano le Bocche di Bonifacio, via che, ad esempio, portava alla foce del Rodano, dove giungeva il tragitto continentale e fluviale che lo stagno delle isole Cassiteridi e l’ambra dei paesi del Baltico seguivano per arrivare nel Mediterraneo.

Tribù nuragighe

E anche per questa precisa circostanza geografica non può sussistere alcun fondato dubbio sul fatto che gli antichi Greci conoscessero da epoca molto antica le coste nord-orientali della Sardegna e quelle settentrionali che danno sulle Bocche di Bonifacio. Ebbene, in quella importante zona della Sardegna nord-orientale i Feaci saranno stati la popolazione più potente e più ricca, tanto che col nome della loro Scherìa il poeta dell’Odissea avrà preferito indicare l’intera isola anziché con quello di Sardó, che con ulteriori svolgimenti diventerà quello tradizionale e definitivo di Sardegna.

E c’è da aggiungere un’altra notazione prettamente linguistica: anche l’etnico Feaci, cioèPháiakes, probabilmente dimostra di appartenere al fondo linguistico nuragico, in virtù del suo suffisso –ak, che si ritrova ad esempio, anche negli appellativi protosardi nuráke, nuraghe «torre di pietra» e neuláke «oleandro», ecc.

Concludo riassumendo quelli che mi sembrano essere i risultati effettivi della mia odierna ricerca:
1°) Dato che il mondo dell’Odissea risulta avere avuto come spazio geografico il Mediterraneo centrale e come tempo cronologico i secoli XIII-VIII a.C. e d’altra parte la Sardegna in quello spazio e in quel periodo risulta avere avuto un ruolo notevole e addirittura un primato civile e culturale sulle altre terre circostanti, è pressoché assurdo ritenere che questa non abbia avuto un qualche ruolo anche in quel poema. Per eliminare questa singolare incongruenza e quasi vera e propria assurdità, si deve ritenere che il poeta dell’Odissea abbia, sì, fatto riferimento alla Sardegna, ma chiamandola in un altro modo, cioè Scherìa o isola dei Feaci. E questo mi sembra un risultato della mia ricerca che si presenta con un elevatissimo grado di probabilità.
2°) In virtù della conformazione geomorfica dell’isola di Tavolara, che sembra tuttora una “nave pietrificata” come quella mitica dell’Odissea, si può pensare che i Feaci fossero una delle popolazioni della Sardegna nord-orientale e che la loro capitale fosse quel centro abitato che più tardi si chiamerà Olbia. E questo mi sembra un risultato della mia ricerca che si presenta con un discreto grado di probabilità”.

(Tratto da:  ‘Storia dei Sardi Nuragici’ di Massimo Pittau, Capitolo III, “La Sardegna e i Poemi omerici” pp.63-81)

Un pensiero su “L’isola di Scheria di Omero era la Sardegna Nuragica?

Lascia un commento