D’Annunzio e il Nepente di Oliena

Nepente di Oliena

“Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama?
 Ahi lasso!
Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi”…
Gabriele D’Annunzio

Qual è la relazione fra il poeta Gabriele D’Annunzio e un vino sardo, direte. C’entra, c’entra, perché se googlate la parola D’Annunzio e Nepente vi appariranno diversi siti e immagini in cui vi si ricorda un viaggio giovanile del poeta in Sardegna dove visito’ Oliena e in quella occasione fece la conoscenza del suo prodotto più celebrato: il cannonau, che già in Sardegna aveva allora molto sucesso; sucesso che continua ancora oggi tanto da avere numerosi estimatori nell’isola e fuori.
Ecco, vi voglio raccontare questa storia perché è da quando ero bambina che ne sento parlare: di quella famosa sbronza del Vate di Pescara in quel di Oliena!
D’Annunzio stesso in seguito scrisse a riguardo un articolo in cui fa un pomposo elogio di questo vino rosso-rubino  (conosciuto prosaicamente fino ad allora come “su vinu de Uliana”) chiamandolo aulicamente Nepente.
Il nome Nepente deriva dal greco “ne” = non e “penthos” = tristezza, nessuna tristezza.

Nel 1910 Gabriele D’Annunzio scrisse infatti un articolo sul Corriere della Sera intitolato “Un itinerario bacchico”, il quale era ispirato ad una lettera scritta l’anno prima da Marina di Pisa a Hans Barth, giornalista tedesco residente a Roma e profondo conoscitore dei vini italiani, tanto da essere autore di un libro sull’argomento. Nell’articolo D’Annunzio dice che lui “acquatile” non potrebbe dare al Barth notizie delle taverne pisane ma, ricordando un suo viaggio giovanile in Sardegna fatto in compagnia di Edoardo Scarfoglio e di Cesare Pescarella, afferma che, se l’amico gli farà visita, “…io vi prometto di sacrificare alla vostra sete un boccione d’olente vino d’Oliena serbato da moltissimi anni in memoria della più vasta sbornia di cui sia stato io testimone e complice…. Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i sardi chiamano Domos de janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all’odore; e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi.”… A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente….Possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso sempre vermiglio. E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia, e di pampini avvolta, e colcata in terra a piè di una vite grave di grappoli; ché miglior sede non v’ha per attendere il Giorno del Giudizio”. Gabriele D’Annunzio,“Un itinerario bacchico”, Corriere della Sera del 15 febbraio 1910.

Oliena, uno dei centri più vivaci delle Barbagie, a differenza di quanto si pensa in genere della Sardegna, è un paese a vocazione prevalentemente agricola e non pastorale. Vite e olivo caratterizzano il paesaggio della campagna: sono il retaggio della presenza, a partire dal 1665, dei Gesuiti. Furono fondamentali per l’economia della zona le iniziative in campo agricolo dei frati, che innestarono i numerosi olivastri spontanei con l’olivo domestico, introdussero il gelso e l’allevamento del baco da seta, implementarono la coltivazione del Cannonau. Si stima che già nel XVII secolo fossero stati piantati 80.000 ceppi di questo vitigno, di probabile origine spagnola. Partiti i gesuiti dopo la soppressione dell’ordine, a Oliena si continuò a lavorare la terra con amore,a strappare a quella montagna calcarea e arida ogni fazzoletto fertile. Alla metà del secolo scorso la proprietà terriera era, come anche oggi, molto parcellizzata. I fondi talvolta non superano l’ettaro. La cantina sociale di Oliena nasce nel 1950 per unire le forze dei singoli coltivatori, che mai avrebbero potuto affrontare da soli il mercato. Le rese, ieri come oggi, sono molto basse, intorno ai 30, 40 quintali per ettaro. Le viti sono coltivate ad alberello, senza sostegni, e con pochi grappoli. La cantina ha vissuto alti e bassi, perché la cooperazione non è mai facile e perché ci sono stati anni difficili. Alla fine degli anni ’70 e nel decennio successivo, la crescita della produzione a livello globale determinò un calo dei prezzi. Anche il Cannonau, come molti vini del sud, era venduto come vino da taglio in continente e sopratutto in Francia. Nel 1972, tuttavia, il Cannonau doc prodotto a Oliena aveva preso la sottodenominazione di Nepente di Oliena. Fu così che – complice il Vate di Pescara – si decise di cambiare marcia: il primo passo fu l’ammodernamento delle strutture, poi il lavoro sui soci, per far crescere la cultura della qualità. L’uva deve essere conferita nelle ceste, così si mantiene integra fino alla pigiatura. In cambio la cantina, se la qualità è alta, paga bene e in tempi rapidi. Oggi la Cantina Oliena vinifica da 3000 a 4000 quintali di uva Cannonau; il 90% della produzione è imbottigliato e in buona parte esportato in Europa e nel resto del mondo, Australia compresa. Si è puntato tutto sul Nepente, cioè sul prodotto che è espressione del territorio: niente vitigni internazionali, niente bianchi, meglio valorizzare quello che si fa da secoli.

Nepente di Oliena: vino elegante, corposo e secco, da uve cannonau collinari esposte al sole, è di colore rubino, con un profumo persistente e notevole, con una giusta dose di tannini e di corpo.
Ottimo con le carni, i formaggi stagionati, le conserve sott’olio ma anche per grigliate, ben si presta ad accompagnare piatti ricchi, esaltandone il gusto e riducendo la sensazione al palato del cibo troppo grasso.
Va servito ad una temperatura di 18° e va fatto respirare per un’ora prima di servire, meglio se la bottiglia ha qualche anno e se viene conservata in orizzontale in luogo buio, ma ricordatevi di metterla in verticale il giorno prima.

 

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